Il Decreto Legislativo n. 116/2020 si è occupato di riformare le regole che disciplinano i rifiuti urbani, classificandoli finalmente per la natura della loro composizione e superando il principio discutibile dell’origine degli stessi. La precedente disciplina stabiliva infatti che i medesimi rifiuti urbani, se prodotti all’interno di un’attività d’impresa fossero da considerarsi sempre rifiuti speciali, ancorché assimilabili agli urbani. Da oggi invece risulteranno rifiuti urbani prodotti da utenze non domestiche.
Nelle tabelle consultabili cliccando QUI sono elencati i rifiuti (con i relativi codici) e le attività d’impresa che li producono che, a seguito della riforma sopra richiamata, potranno scegliere se, per lo smaltimento di quelle tipologie di rifiuto, servirsi o meno del servizio pubblico.
Le scelte che faranno le imprese avranno un sicuro impatto soprattutto sull’applicazione della TARI da parte delle amministrazioni comunali, in quanto le imprese che sceglieranno di avviare i propri rifiuti al recupero attraverso un operatore privato dovranno ottenere nuove condizioni da parte dell’Ente Locale, così come dovrà accadere nel caso estendano l’utilizzo del servizio pubblico di ritiro a un numero superiore di rifiuti.
Purtroppo la recente approvazione di un emendamento al Decreto Sostegni chiede alle imprese di comunicare entro il 31 maggio prossimo quali rifiuti urbani l’impresa intenda conferire al di fuori del servizio pubblico, sfruttando l’opportunità prevista dal d.lgs 116/2020, ai fini della conseguente applicazione o meno della TARI a partire dal 2022.
Con otto mesi di anticipo, in un contesto di estrema incertezza, e considerando che i Comuni non hanno ancora adeguato i propri regolamenti e tariffe alle nuove regole, è impensabile che le imprese abbiano gli elementi per effettuare la scelta più funzionale alle proprie esigenze e, di conseguenza, darne comunicazione al Comune.
Anche per gli anni successivi, inoltre, la norma approvata concede solo un mese ulteriore per tale scelta, che dovrà essere fatta entro il 30 giugno di ogni anno con riferimento all’anno successivo.
Ancora più incomprensibile, inoltre, non intervenire sulla previsione che vincolerebbe per cinque anni la scelta dell’impresa, orientamento che è stato contestato anche dall’autorità Antitrust con una segnalazione inviata al Governo.
Si precisa che la mancata comunicazione non prevede alcuna sanzione.
Alla luce dei chiarimenti che confidiamo possano arrivare a breve dal Ministero, nei prossimi giorni daremo alle imprese associate le indicazioni circa le modalità con le quali effettuare la comunicazione ai propri comuni.