Il taglio del cuneo fiscale è una priorità. In Italia è al 47,9% contro la media Ocse del 36,1%

Posted By Daniela Montalbano on Set 17, 2019 | 0 comments


Nella storia italiana ci hanno provato solo Romando Prodi (nel 2007) e poi Matteo Renzi. Tagliare il cuneo fiscale è sempre stata una priorità italiana: però solo sulla carta. Ora ci riprova il governo Conte 2, perché il cuneo fiscale italiano – l’insieme delle imposte e dei contributi sociali che fa la differenza tra la retribuzione netta incassata dal lavoratore e il costo per il suo datore di lavoro – è tra i più pesanti del mondo. Terzo, dopo Belgio e Germania.

La diatriba da risolvere è sempre la stessa: ridurre la parte del cuneo a carico delle imprese o abbassare le tasse a carico dei lavoratori? Oggi, il governo giallo-rosso ha deciso di concentrarsi sulla seconda. Scrive “La Repubblica”: «Il problema numero uno è il costo. Il cuneo fiscale è infatti pari al 47,9% dell’intero costo del lavoro contro il 36,1 della media Ocse.

Se volessimo a questo punto adeguarci alla media dei Paesi industrializzati, dovremmo tagliare il cuneo di quasi 12 punti. E siccome ogni punto in meno costa circa 1,7 miliardi, dovremmo caricarci di una spesa di una ventina di miliardi di euro». Il problema numero due: «Nel 2000 il cuneo fiscale italiano era pari al 47,1% del costo del lavoro, quasi un punto in meno di quello che è oggi. Nello stesso tempo, la media dei Paesi Ocse è scesa di 1,3 punti». Dipende dai salari: «La mancata compressione del cuneo si verifica soprattutto nel caso standard riportato dall’Ocse: quello dello stipendio medio – 21.462 euro netti l’anno – di un lavoratore single e senza figli. Con un salario di 16mila euro, il cuneo scende al 40,9% (sotto il 43,6% del 2000) e non siamo più terzi ma ottavi tra i Paesi Ocse. Torniamo in testa alla classifica con il cuneo fiscale che grava sulle coppie con due figli». Quel che resta in tasca ai lavoratori? Conclude “La Repubblica”: «Il salario netto effettivamente incassato da un single in Italia è pari in media al 68,6% di quello lordo, contro una media Ocse del 74,5. Ossia da noi, se ne va un terzo della retribuzione».

L’ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO VA AVANTI. PERCHE’ SERVE
Qualche tremore c’era stato, nel febbraio 2019, quando il governo annunciò il taglio – tanto nei licei quanto negli istituti tecnici – delle ore dedicate all’alternanza scuola-lavoro, «potenziale creatrice di occupazione», la definisce il Corriere della Sera. Invece il processo non si è fermato, e «a questo proposito è di particolare interesse il caso della Lombardia dove, nei soli territori di Milano, Monza Brianza e Lofi, sono stati offerti agli studenti 44mila percorsi formativi di alternanza. Questi percorsi vengono offerti da 2.600 soggetti pubblici e privati. L’alternanza è una bella opportunità sia per i giovani, che possono mettere un piede nel mondo del lavoro, sia per le imprese, che inseriscono novità e dinamismo nelle proprie organizzazioni. Qualità è la principale richiesta degli studenti: vogliono avvicinarsi al mondo del lavoro per imparare, non per fare fotocopie o portare caffè». Ecco, in tutto questo l’Italia potrà fare ancora di più perché è anche grazie all’alternanza se potrà cambiare marcia: «Lo sviluppo di tali iniziative è un tema fondamentale per il nostro Paese, dove mancano i posti di lavoro ma anche i lavoratori dotati delle competenze tecniche, scientifiche e organizzative che servono alle aziende».

E-FATTURA: LA NUOVA ERA DEI CONTROLLI FISCALI
Lo scrive Italia Oggi: «Con la e-fattura è iniziata una nuova era dei controlli fiscali, anche se tale aspetto – in questo primo anno di implementazione – è passato in secondo piano perché tutti gli operatori sono stati occupati a gestire le questioni più operative e di coordinamento normativo». Però la rivoluzione è iniziata grazie alla e-fattura e a quelle tecnologie in grado di gestire e analizzare i Big Data. Infatti, «l’efficacia dei controlli fiscali, attraverso l’analisi dei dati disponibili, potrà migliorare esponenzialmente anche ai fini della selezione dei contribuenti più a rischio di evasione da sottoporre a verifiche». In sintesi, prosegue il quotidiano economico, «i dati, la loro valorizzazione e processabilità, nonché la qualità e la tempistica di analisi degli stessi divengono il fulcro dell’attività di controllo perché garantiscono all’Amministrazione finanziaria un monitoraggio ampio e tempestivo dei comportamenti dei contribuenti.

A dire il vero, l’Amministrazione finanziaria sta trasformando il suo ruolo: da mero ricevitore passivo di dati a centro di analisi continuativa e massiva di dati, nonché facilitatore attivo di tax compliance».