Il secondo bazooka è più difficile del primo

Posted By Daniela Montalbano on Set 18, 2019 | 0 comments


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Mario Draghi ha mantenuto la promessa. Nel suo penultimo Consiglio da presidente della Bce ha rimesso mano al bazooka monetario per dare ossigeno a un’economia europea che appare in crescente affanno. E lo ha fatto senza curarsi dei sempre più numerosi economisti scettici sull’efficacia di una ulteriore iniezione di liquidità, delle preoccupazioni delle banche i cui margini sono schiacciati dai tassi bassi, di alcuni governatori Ue manifestamente ostili e delle buone intenzioni dei governi europei che dopo il risultato delle elezioni e il cambio di governo in Italia sembrano divenuti tutti più collaborativi ed europeisti. Oggi sul Times Simon Nixon ha citato perfino l’arrivo di Paolo Gentiloni agli Affari economici dell’Unione come un segno inequivocabile del cambio di clima. Nixon ricorda come per otto anni Supermario abbia implorato i governi di dargli una mano, mettendo in atto politiche di riforma e disciplina finanziaria che alleggerissero il fardello della politica monetaria e dunque della Bce. Senza risultato.

Oggi ci sarebbero forse le condizioni secondo Nixon perché la Bce possa dividere con i governi l’onere del sostegno dell’economia. Ma Draghi non si fida delle promesse e tira dritto per la sua strada; dunque ecco un nuovo Quantitative easing di importo molto minore (20 miliardi mese) ma senza scadenza, un ulteriore passo avanti dei tassi in territorio negativo (meno 0,5pct) compensato da misure che ne mitigano l’impatto sulle banche. Draghi non ha mai sbagliato una mossa e probabilmente non sbaglierà neppure questa. Ma da un certo punto di vista il secondo Quantitative easing è una sfida ancora maggiore del primo. La riprova del carattere d’acciaio di Supermario. Innanzitutto una sfida a un’opinione sempre più diffusa tra gli esperti, critici verso l’azione delle banche centrali. Secondo il Wall Street Journal una prolungata politica di tassi negativi che vede unite la Bce e la Federal Riserve Usa (la settimana prossima anche la Fed taglierà i suoi tassi) comporta rischi e può avere effetti perfino controproducenti.

Dal 2015, si rileva, Francoforte ha immesso nei circuiti dell’economia europea 2,6 trilioni di euro ovvero 2600 miliardi. In questo periodo la deflazione, ovvero l’andamento negativo dei prezzi, che era il maggiore obiettivo del primo Qe, è stato scongiurato ma l’inflazione resta pur sempre all′1pct, cioè a metà strada dall’obiettivo del 2pct e l’economia reale non ha avuto il rimbalzo che si sperava. Draghi comunque tira dritto. Dei governi per ora non si fida e come sempre appare sicuro del fatto suo. Trump potrà dire quel che vuole sulla Bce che manipola il cambio. Altrettanto potranno essere critici i banchieri centrali del Nord Europa (Austria, Germania, Olanda, Estonia). Ma di questo Draghi può davvero non curarsi. Sarà un affare di Christine Lagarde il cui percorso con le decisioni di oggi è segnato.