IL NOSTRO CONTRATTO E I CONTRATTI A TERMINE: qualcosa funziona e qualcosa no

Posted By Antonio Alivesi on Lug 16, 2018 | 0 comments


Un contratto in sette punti per chiedere al Governo di uscire dall’industria-centrismo degli anni passati e di riconsiderare al più presto ruolo, importanza e peculiarità delle piccole e medie imprese.

Il presidente nazionale di Confartigianato Giorgio Merletti lo ha sottoposto ai due vicepremier dell’esecutivo giallo-verde in occasione dell’assemblea nazionale di Confartigianato Imprese con un obiettivo: ridisegnare le politiche di sviluppo economico del Paese tenendo ben presente la necessità di «modificare la normativa sugli appalti, che non permette alle piccole e medie imprese di toccare palla»; dare il via libera al decreto tariffe Inail; «mettere mano al pasticciaccio brutto del Sistri e far partire il nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti». E, ancora, «garantire una reale tutela del made in Italy senza confonderlo con quella del solo sistema agroalimentare»; «mettere alla prova la volontà degli Stati membri dell’Ue nell’arrivare alla tassazione omogenea dei giganti del web in tutti i Paesi del Continente»; «ridurre gli oneri che gravano sulla bolletta dell’energia a carico delle piccole imprese» e, per l’appunto, tenere come riferimento le piccole imprese per tutti i provvedimenti normativi del Governo.

Ultimo ma, in realtà, decisivo punto di un rinnovato patto tra lo Stato e le imprese che restano, quelle che non hanno incassato finanziamenti e poi fatto la valigia per delocalizzare investimenti e sviluppo. Su quest’ultimo punto la prima risposta è arrivata dal “decreto dignità” del super ministro Luigi Di Maio e dall’introduzione di sanzioni e penalizzazioni a carico di quanti, dopo aver beneficiato di incentivi governativi, sceglieranno di delocalizzare entro i successivi cinque anni.

Cuore del decreto, tuttavia, è stata una stretta impressa ai contratti a termine che non ha convinto le imprese, innescando non poche preoccupazioni sul futuro e sulla possibilità di agganciare una ripresa non strutturale. Critiche sono piovute anche sulla visione ingiustamente negativa impressa al contratto a tempo determinato, che le Pmi non considerano una forma di precarietà ma una risposta alle esigenze delle imprese oltre che di specifiche categorie di lavoratori.

Meglio, piuttosto, concentrare gli sforzi su regole chiare, semplici e stabili, politiche attive del lavoro, incentivi alla formazione permanente (lifelong learning) e welfare aziendale.

Nel merito, la contrazione a 12 mesi della durata massima di un contratto senza causali potrebbe penalizzare in prima battuta chi non ha superato le difficoltà della crisi e, al contempo, l’obbligo dell’indicazione della causale dopo il primo contratto potrebbe produrre un aumento del livello dei contenziosi. Effetti collaterali che, al momento, nessuno si può permettere.