Dalle nascite a picco al digitale lento: i tanti ritardi che frenano gli italiani

Posted By Daniela Montalbano on Feb 13, 2020 | 0 comments


NELL’ITALIA SENZA FIGLI, VINCE L’EGOISMO DEGLI ETERNI PETER PAN – La notizia del giorno è questa: gli italiani non si vogliono più bene. La prendiamo con una certa leggerezza, ben sapendo che il problema pesa come un macigno sul futuro del nostro Paese. Secondo i dati forniti dall’Osservatorio dell’Istituto Toniolo, scrive il Corriere della Sera, «due ragazzi su tre» considerano la genitorialità come un elemento fondamentale per la loro realizzazione. Eppure, i dati dell’Istat raccontano una storia diversa: «Il numero delle nascite zero è stato pari circa a 435mila, meno della metà dei nati del 1974 e minimo storico dall’Unità d’Italia. Con un’ulteriore flessione del tasso di fecondità (1,29 figli per donna, fanalino di coda in Europa) e i tanti giovani che lasciano il Paese (in 10 anni abbiamo perso 250mila ragazzi)». Le ragioni di questo disastro demografico sono tante. Le elenca il Corsera: «I giovani hanno salari bassi, precarietà persistente, percorsi di carriera stentati; hanno a che fare con un mercato immobiliare che continua ad essere caratterizzato da valori sproporzionati; i servizi sono scarsi e costosi. Decidere se formare, o meno, una famiglia è sempre più difficile». Soluzioni alla mano non ci sono. Anche perché, come dice il sociologo Giuseppe De Rita, «per riempire le culle non bastano bonus o asili nido gratis. Bisogna lavorare sul tessuto sociale e ricostruire un’idea di comunità». Che si è persa. Perché l’Italia ha paura, è ripiegata sul presente ed è incapace di pensare al futuro: «Quello che entra in cassa – prosegue lo studioso – viene messo a risparmio invece che a consumo. Fare figli è ritenuto un salto nel buio. Ma qui c’è anche un problema di mentalità e di dittatura dell’io. Una società che non sa più dire “noi” non fa figli. Inoltre, l’egolatria dei social riduce gli orizzonti mentali e impedisce di accettare la sfida della genitorialità». Insomma, per De Rita in Italia ci sono ancora troppi «Peter Pan incapaci di uscire dal loro egoismo».

“IO LAVORO”: IL NUOVO BONUS PER ASSUMERE GIOVANI – I figli che nascono oggi, avranno tempo per crescere. I giovani già cresciuti, invece, scalpitano per trovare un lavoro. L’Anpal, si legge sul Sole 24 Ore, «lancerà a breve una nuova forma di assunzione agevolata per i giovani denominata “Io lavoro”. Ne saranno interessati i datori di lavoro privati che assumono disoccupati di età compresa tra i 16 e i 24 anni, estendibile a 25 anni e oltre per coloro che risultano privi di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi. I giovani non devono aver avuto, negli ultimi sei mesi, un rapporto di lavoro con lo stesso datore a meno che non si tratti di trasformazione a tempo indeterminato di un contratto a termine». Quindi: per ottenere il bonus, i giovani devono essere assunti a tempo indeterminato (anche per somministrazione) a tempo pieno o parziale (compresi anche i contratti di apprendistato professionalizzante). Ne sono esclusi il lavoro domestico, quello occasionale e l’intermittente. Continua il quotidiano economico: «L’esonero contributivo, per i datori di lavoro, avrà una validità di 12 mesi dalla data di assunzione, entro un tetto di 8.060 euro. Il bonus rientra nel “de minimis” ed è cumulabile con le agevolazioni concesse in caso di assunzione dei percettori di reddito di cittadinanza».

PMI IN RITARDO SUL DIGITALE: ALLE IMPRESE BISOGNA PRESENTARE TECNOLOGIE CONCRETE- Verrà presentato alla Fiera A&T di Torino, dedicata ad Automation e Testing (14esima edizione), lo studio realizzato dal Politecnico di Milano sulla digitalizzazione nelle imprese. Il campione è composto da aziende «con fatturati fino a 50 milioni di euro e un numero di addetti compreso tra 10 e 50». I risultati: «Poco più di un’azienda su quattro è in forte ritardo, mentre la maggioranza delle imprese considera il digitale come uno strumento per migliorare le performance sul mercato o i processi interni, senza però adottare una visione strategica di medio e lungo periodo. Inoltre le imprese digitalmente mature, capaci di intraprendere un percorso di digitalizzazione coerente e che sono state in grado di inserire la dimensione digitale nel proprio modello di business, sono ancora troppo poche: solo il 26%». Se si parla di manifattura, il discorso si complica perché «la sfida è ancora più difficile: le tecnologie abilitanti, infatti, fanno ancora più fatica ad essere implementate perché serve digitalizzare i processi produttivi e gestire i database per creare un vero e proprio ponte tra linee di produzione e dimensione online». La soluzione? «Fare chiarezza sugli strumenti digitali e sulle innovazioni disponibili, e presentare alle imprese tecnologie concrete che possano interessare gli imprenditori e migliorare i processi produttivi».

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